La prima e spesso unica ragione per cui si entra in un centro fitness, è quella di voler migliorare dal punto di vista estetico; questo settore che è in forte crescita, è diventato di moda grazie ad internet e a com’è cambiata la nostra vita sociale, una buona fetta dei clienti di una palestra vuole un fisico visivamente più gradevole, oppure si allena perché, travolto dalla nuova corrente “dell’uomo sigma produttivo”, deve obbligatoriamente innestare questa fenomenale “keystone habit” per raggiungere il successo.
Insomma, esattamente com’è successo con il comicon di Napoli, più diventa popolare e di moda una cosa e più le persone interessate saranno diverse ed avranno motivazioni differenti.
Questo è un’analisi socio-culturale che potrebbe essere approfondita in mille modi, ma in questo momento ciò di cui m’interessa parlare, e di come le mode influenzino anche il mio lavoro, di come io debba creare ad esempio dei programmi di allenamento di cinque giorni, per la persona super produttiva che ha bisogno di staccare con la mente durante la pausa pranzo, dei programmi con sedute di 50 minuti per chi non ha mai il tempo di fare nulla, dei programmi super leggeri per chi invece non riesce proprio ad essere costante, ecc.
La quantità di motivazioni diverse che portano ogni persona ad entrare in sala pesi è diventata enorme, eppure tutti alla fine abbiamo lo stesso scopo: allenare i nostri muscoli.
Indipendentemente dai tuoi perché, se vuoi avere il fisico di un atleta, il modo migliore per farlo è diventare un atleta.
Oggi quindi voglio parlare di una pratica estremamente utile e funzionale, spesso bistrattata perché non direttamente collegata all’ipertrofia muscolare, ma che in realtà è utilissima ai fini dello sviluppo estetico: lo stretching.
Cos’è lo stretching?
Lo stretching è una pratica fisica che consiste nell’allungamento dei muscoli e dei tessuti connettivi del corpo.
Esistono vari tipi di stretching che funzionano sfruttando principi diversi, tuttavia sostanzialmente tutti prevedono di assumere delle posizioni degli arti in modo che i nostri muscoli vengano allunganti al limite per poi lavorare sull’aumento di questo limite.
Quanto appena scritto è un concetto molto importante, perché lo stretching, usato dalla maggior parte delle persone per defaticare a fine seduta, può essere considerato un vero e proprio allenamento, in cui esattamente come cerchiamo di aumentare il massimale su panca piana, possiamo prefissarci di aumentare il nostro range articolare, creando anche dei veri e propri allenamenti fatti di serie e ripetizioni.
Chi allena la propria flessibilità, noterà anche la comparsa dei DOMS, quei famosi dolori muscolare che sopraggiungono ore dopo l’allenamento.
A cosa serve?
Questo domanda è dedicata a chi cerca dei motivi per fare stretching in palestra, possiamo anche leggerla infatti come “può aiutarmi lo stretching ad avere più muscoli?”.
La riposta è si e le ragioni sono sostanzialmente due:
- Mobilità articolare: la capacità di allungamento di un muscolo influenza direttamente la nostra mobilità articolare, mobilità indispensabile per l’esecuzione corretta di molti esercizi. Anche qui vi è un po’ di confusione, pensando che sia una problematica di cui debba preoccuparsi solo chi è molto rigido, in realtà se contiamo il numero di persone che fanno palestra e quante di queste persone sono in grado di scendere in buca facendo squat senza perdere la curva lombare, appare limpido come solo atleti ed ex ballerine sono in realtà in grado di eseguire perfettamente uno squat. Tutti noi altri necessitiamo di lavorare sulla nostra mobilità.
- Postura: la postura ha un forte impatto visivo, molto spesso infatti correggendo certi piccoli blocchi articolari, risulteremo essere più magri, più alti o più grossi; inutile dire quanto la rigidità muscolare sia il primo fattore causante di una brutta postura.
Mobilità articolare
Approfondiamo ora quest’argomento, a volte sconosciuto, ma che sarebbe in realtà importante da conoscere.
Ogni nostra articolazione possiede dei “raggi di movimento”, ovvero una limitata capacità di muoversi nello spazio, influenzata da diversi fattori:
- Forma delle superfici ossee
- Capacità dei muscoli di allungarsi
- Flessibilità delle capsule articolari
- Flessibilità dei legamenti
Posture scorrette, sedentarietà e infortuni pregressi, sono tra le principali cause di rigidità articolare.
Esattamente come sovraccaricare i muscoli li stimola a crescere, limitare nel tempo i nostri movimenti, porterà il corpo ad adattarsi a dei range articolari ridotti.
Capito questo concetto, possiamo ora considerare lo stretching come la nostra arma per combattere queste fastidiose problematiche e non più un semplice defaticamento, non dobbiamo più vederlo come una medicina da somministrare solo in caso di mal di schiena, ma come un integratore che ci permette una buona e salutare mobilità articolare.
Come fare stretching in maniera efficace
Lo stretching è la pratica di estendere questi tessuti per un certo periodo di tempo (stretching statico) o ripetizioni (stretching dinamico), in modo da migliorare la capacità di questi tessuti di allungarsi.
Conoscere l’anatomia delle inserzioni tendinee, ovvero dove i muscoli, attraverso i tendini, si “agganciano” alle ossa, diventa importante per questa pratica, sono infatti queste due superfici ossee, quelle dove i tendini vanno ad inserirsi, che vanno allontanate tra loro per generare l’allungamento richiesto.
Pensiamo ad esempio al pancake, noto esercizio di stretching, c’è chi sostiene che il bacino vada imperativamente tenuto in retroversione, e chi invece in antiversione:

Questo esercizio allunga svariati tessuti, tuttavia per semplificare il concetto, poniamo caso che il nostro obiettivo principale sia l’allungo della muscolatura ischio-curarle, ovvero bicipite femorale, semimembranoso e semitendinoso.
Se abbiamo detto che il nostro scopo è quello di allontanare le superfici ossee che sono sede dell’inserzione muscolare, allora per ottenere uno stretching valido dobbiamo ragionare e pensare a quale sia la funzione principale di questi muscoli, ovvero:
- Estensione d’anca
- Flessione del ginocchio
- Retroversione del bacino
Se quindi questo gruppo muscolare, andando ad accorciarsi, ci permette di retrovertere il bacino, intuitivamente vediamo che per ottenere l’allungo massimo, dobbiamo lavorare nel verso contrario di questa contrazione, dunque flettere l’anca, estendere il ginocchio e lavorare con il bacino di antiversione.
Da un punto di vista anatomico quindi, abbiamo la nostra risposta.
Tipologie di stretching
Parlando di stretching, possiamo suddividerlo in due grandi famiglie:
- Stretching passivo: metodo anderson, pnf, end of range
- Stretching attivo
Nello stretching attivo, come suggerisce il termine, eseguiamo dei movimenti in maniera attiva, in modo che questi portino ad allungare la muscolatura target. Questa tipologia di stretching sembrerebbe essere molto valida secondo la letteratura scientifica, sfruttano il noto principio di adattamento del corpo, in cui per l’appunto sottoponendolo a determinati movimenti in maniera ripetuta, la nostra macchina biologica tenderà a migliorare sempre di più tutte le caratteristiche che ci semplificano l’esecuzione di tale movimento. Fare squat, per migliorare la mobilità articolare per fare lo squat stesso, è un metodo valido di allenamento, ci sono infatti colleghi che reputano questo tipo di stretching da solo sufficiente allo scopo.
Nello stretching passivo invece, ovvero la pratica di allungare il muscolo e di mantenere tale allungo in forma statica, facciamo un’ulteriore diramazione:
- Metodo anderson: in questo protocollo, allunghiamo lievemente il muscolo per circa 10 secondi, portandolo poi al suo range limite e mantenendo la posizione per altri 20/30 secondi e infine facendolo ritornare delicatamente alla posizione di partenza.
- PNF: metodo di stretching a parer mio molto interessante, si sfrutta l’inibizione dei corpi dei golgi, ovvero quei “sensori” che contraggono la muscolatura per prevenire che questa si allunghi troppo, con lo scopo di preservarla. In questo protocollo, si raggiunge il punto limite di allungamento, lo si mantiene per circa 10 secondi, dopodiché si contrae volontariamente la muscolatura che stiamo allungando, in modo che il cervello, percependo la nostra volontà di contrarre il muscolo attivamente, disattivi la contrazione “istintiva” di conservazione, permettendoci così di allungare maggiormente il ventre muscolare, una volta fatto ciò teniamo questo allungamento statico per altri 20/30 secondi. Questo protocollo viene in genere effettuato in cicli di 2/3 ripetizioni.
- End of range: in questo metodo, raggiungiamo il limite di range articolare, per poi cercare di superare, in più cicli, questo limite attraverso delle oscilizzazioni o impulsi.
Come impostare un programma di allenamento
Adesso che sappiamo il perché ed il come, non ci resta che sapere il quanto!
Partiamo dallo stabilire l’intensità dei nostri allenamenti, il mio consiglio è di fare le cose con calma e di procedere con intensità basse, questo perché lo stretching è più stressante di quanto possa sembrare ed il rischio d’infortunio è dietro l’angolo, muovetevi di poco alla volta e ricercate un allungo molto graduale dei tessuti durante l’arco della programmazione.
Se invece vi state chiedendo, quanto tempo far durare questo allungamento, devo purtroppo dirvi che la documentazione scientifica non ha ancora tirato fuori il numero magico per avere dei risultati ottimali, tuttavia, sulla base della mia esperienza personale, posso dirvi che in genere lavorare in serie da 3 mi ha portato più risultati che il fare una singola serie da 30 secondi o da un minuto, oltre questo valore, non ho notato ulteriori benefici, quindi io consiglio di lavorare facendo tre serie da 30 secondi.
Per quanto riguarda la frequenza, essendo lo stretching una pratica abbastanza sicura e molto poco “intrusiva” se fatta senza esagerare, sarebbe auspicabile allenarsi tutti i giorni.
Infine, se vogliamo anche sapere con che velocità allunga i nostri muscoli, anche qui suggerisco di lavorare molto lentamente e sempre in controllo, ricordiamoci sempre che l’allungamento non dipende solo dall’elasticità dei tessuti, ma anche dal nostro sistema nervoso che contrae i muscoli in modo da prevenire danni (ne ho parlato riguardo al pnf), dunque è sempre conveniente allungare dolcemente e rilassandosi il più possibile, in modo da non permettere che questo nostro sistema di difesa c’impedisca di ottenere risultati. Allungamenti troppo veloci infatti potrebbero portare al risultato opposto, insegnando al nostro corpo a irrigidire immediatamente i tessuti che vogliamo allungare.
Aldilà di tutte le mie raccomandazioni, come al solito vi dico che un programma strutturato sulle proprie soggettività e piacevole da seguire, è la chiave per il raggiungimento di qualsiasi risultato, quindi se preferite, come mi è capitato di vedere conoscendo vari atleti nazionali, un allungamento “molto profondo” e protratto per interi minuti ad esempio, fatelo pure, io stesso ho sviluppato un mio modo personale di fare stretching influenzato dallo yoga, l’importante è valutare i progressi di tanto in tanto e vedere che ci stiamo muovendo nella direzione giusta.
